Il conflitto può essere un pericolo o una risorsa: dipende da come viene affrontato.
Rivendicazioni, rancori, figli contesi e triangolati, sono questi gli elementi che caratterizzano spesso i rapporti tra coniugi e nelle dinamiche famigliari. L’aumento del numero delle separazioni e dei divorzi che in Italia si concludono in modo tragico è un dato oggettivo e ormai diffusamente acquisito. Di contro, pochi sanno dell’esistenza di un percorso specifico a sostegno della coppia in fase di separazione. Si tratta della mediazione familiare che si propone di aiutare le coppie a trovare vie d’accordo e di cooperazione per risolvere i loro problemi, offrendo un’alternativa concreta per vivere in modo diverso il conflitto che spesso si configura come un circuito chiuso che tende a ripristinare le emozioni di rabbia e dolore. La mediazione familiare si colloca nell’ambito delle relazioni d’aiuto ed è lo strumento e il contesto in cui la separazione, il divorzio, il costituirsi di nuovi e differenti modi di vita trovano modalità e tempi di elaborazione.
In un progetto educativo in cui è di primaria importanza che i coniugi, in fase di separazione o già separati, salvaguardino le loro competenze genitoriali e il legame con i figli, la mediazione familiare consente di ripristinare la comunicazione tra due adulti che, anche se separati, mantengono il comune impegno di genitori. La pratica della mediazione ribalta l’idea del conflitto come negativo, considerato come sinonimo di competitività e di lotta a favore di un’accezione positiva della crisi come opportunità per crescere, per cambiare e per imparare. L’approccio positivo al conflitto implica che il suo esito è legato al modo in cui questo viene vissuto e gestito.
E’ possibile comunicare al di là del conflitto?
Occorre fare una distinzione fra violenza e conflitto. E’ evidente che il conflitto rivela l’esistenza di una tensione che nasce da bisogni, aspettative e aspirazioni incapaci di incontrarsi e di danzare insieme. Il conflitto diventa una risorsa nel momento in cui fa emergere la realtà del mondo interno e lo rende visibile all’altro per quello che è. E’ in quel momento che una coppia può conoscersi nelle parti nascoste e rivelarsi nell’autenticità della propria essenza, che può essere intrisa di sogni come di debolezza. L’impatto emotivo del conflitto è ciò che generalmente fa saltare i ponti del dialogo sereno e costruttivo. L’emotività fa scattare le mine dell’irrazionalità e saltare i pilastri del buon senso, della reciproca tolleranza e della lucida razionalità. La bellezza del conflitto è che ha il potere di generare una nuova prospettiva d’osservazione di sé e dell’altro. Se qualcosa di “negativo” emerge significa che l’organismo è vivo. Quando il veleno del rancore viene correttamente espulso è un segno di salute e non di malattia.
Ogni conflitto ha la sua storia ed è dentro di essa che si può trovare la via per uscire fuori più forti dentro.
Certo, è facile scrivere queste cose quando non si è emotivamente coinvolti, ma se ci guardiamo indietro quante volte un temporale ha rinfrescato l’aria e pulito il cielo dalle scure nuvole della distruttività? Per riuscire a cogliere nel conflitto una risorsa e non un fattore negativo, bisogna allenarsi a sviluppare un senso di padronanza personale e impegnarsi nel raggiungimento di alcuni obiettivi di sviluppo personale come i seguenti:
1° La comunicazione ecologica
2° Individuare il bisogno proprio ed altrui
3° Ascolto empatico e sospensione del giudizio
4° Gestire le divergenze di valori
5° Comunicare con assertività
6° Riempire la pentola della stima: sapersi dare delle “carezze”
Dietro un conflitto spesso si nasconde un dolore multiplo fatto di disillusione, rabbia, perdita, solitudine, desiderio di vendetta e spesso a pagarne le conseguenze sono soprattutto i figli, sempre più disorientati, preda dei genitori o oggetto di ricatto. Nella maggior parte dei casi, accade che il conflitto coniugale, doloroso ed insostenibile si trasforma in vera e propria guerra, in odio cieco in cui c’è sempre un vincitore ed un perdente. Diceva Ghandi che “laddove c’è un perdente la guerra non è mai finita”.
Pensare non significa avere dei pensieri.
Spesso i nostri pensieri ci portano fuori strada, perché i filtri emotivi deformano il senso della realtà. E come dice una bella frase, “pensare non significa avere dei pensieri”. Il chiacchierio mentale annoda il conflitto se stesso e lo rende aggrovigliato più che mai. Bisogna imparare a sapere utilizzare le risorse del pensiero in modo razionale e creativo al tempo stesso. C’è una frase di Albert Einstein che ci riporta alla giusta prospettiva per affrontare il conflitto: «Non si può risolvere un problema con la stessa mente che lo ha creato». Al contrario, spesso le coppie rimangono prigioniere dei loro schemi mentali.
Il conflitto, se considerato come un momento di crescita, non è per forza di cose qualcosa di cui sbarazzarsi, né tantomeno di cui aver esagerata paura. Quando una relazione non funziona è meglio riflettere su quegli elementi a incastro (per esempio i reciproci tratti del carattere) che hanno impedito una buona affettività e sana comunicazione, piuttosto che continuare ad addossare tutto all’altro. Neppure addossarsi tutte le colpe in una sorta di ipercriticismo autodistruttivo fa bene. In questo senso conoscere e comprendere ciò che non ha funzionato è utile per non ripetere gli stessi errori e se la bilancia pende tutta da una parte è bene guardare all’altro come qualcuno che non è stato in grado di amare non per cattiveria ma per incapacità o immaturità. Qualsiasi scelta si intraprenda, è sempre migliore se sostenuta dalla luce della consapevolezza.