“Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita”. Dante
Gli adolescenti sono domande di senso e di significato rispetto al progetto esistenziale che ogni essere umano deve affrontare in prima persona. La felicità non la si può delegare e per essere felici bisogna compiere delle scelte che rispettino la fedeltà a se stessi e ai valori che orientano verso il bene autentico. Oggi vi sono molte proposte di non scelta, come se fosse possibile vivere in un limbo di eterna attesa. Scegliere non è un compito facile, perchè richiede l’assunzione delle proprie responsabilità e l’andare incontro a dei rischi e dei fallimenti ma è solo insegnando a compiere delle scelte che un adolescente diventa una persona adulta, capace di assumersi le proprie responsabilità rispetto alla realizzazione del Progetto Felicità. Come ho avuto modo di scrivere nella pubblicazione “Educare? Sì Grazie!“:
«Credo che l’adolescenza sia un periodo d’oro per la formazione dell’essere umano ed è proprio per questo che, come “coach”, ho deciso di dedicare molte delle mie energie a tale missione, consapevole del fatto che dagli undici ai vent’anni si costruisce il profilo psicologico di una persona adulta. Amo dire ai miei ragazzi che vi sono quattro parole da cui non è possibile scappare: autostima, onestà, responsabilità e lavoro duro. Non importa com’è stata vissuta l’infanzia o la prima parte dell’adolescenza, conta che cosa si ha intenzione di fare oggi, con i mattoncini sporchi, graffiati, rovinati o mancanti del proprio passato. Credo che il compito di ogni educatore sia di mettere un adolescente davanti al principio di realtà di Virginia Satir: “La vita non è quella che dovrebbe essere. È quella che è. È il modo in cui l’affronti che fa la differenza”. «Perché i miei genitori non sanno ascoltarmi e volermi bene per davvero?», mi ha domandato un giorno una ragazza di diciassette anni, tra calde lacrime. Mi piace davvero tanto quando gli adolescenti sanno soffrire così intensamente e porsi delle domande sulla loro condizione esistenziale, perché significa che hanno una sensibilità ancora viva (c’è chi tende ad anestetizzarsi o stordirsi) e che possiedono il desiderio di attuare un lavoro d’introspezione conoscitiva che darà loro la possibilità di divenire maggiormente consapevoli e responsabili di che cosa accade dentro di sé. Come ho avuto modo di scrivere in una pubblicazione rivolta ai giovani studenti: “Quando, come esseri umani, rinunciamo ad assumerci le diverse responsabilità cui la vita ci chiama, siamo come un’orchestra di potenzialità senza partitura e direttore: in sintesi, suoniamo a vuoto”»1.
Solo chi sa scegliere potrà diventare artefice del proprio destino. L’affollato corteo di persone indecise che ruzzolano tra le oasi del piacere e del divertimento fine a se stesso, sono come coloro che vivono senza alba e tramonto in una condizione di anestesia che irretisce la possibilità di scoprire la voce interiore, ovverosia la vocazione a lasciare la terra migliore di come la si è trovata.