Nessuno si educa da solo.
L’educazione è la cinghia di trasmissione dell’umanità.
Come ha affermato Martin Buber: “L’io si costruisce nel tu”. Ogni forma d’incontro autentico richiede da parte di chi educa la capacità di mettersi in gioco, di lavorare su di sé per liberarsi da paure, dubbi e sfiducia. La sfida educativa è stabilire un contatto intimo e rispettoso ma , al tempo stesso, empatico, stimolante e divertente. Gli adolescenti di oggi sono catturati dai loro smartphone e da una cultura visiva che punta sull’eccitazione momentanea ma in misura minore sulla riflessione. E’ possibile per un educatore divenire un ponte verso la maturità, i valori autentici e la capacità di realizzarsi in modo completo ed etico? Certamente sì! Ciò che conta è presentarsi agli adolescenti con una valigetta degli attrezzi creativamente arredata, perché per catturarli bisogna innanzitutto sorprenderli e, a nostra volta, lasciarsi sorprendere. Alcuni elementi di questa valigetta sono l’autorevolezza, che consiste nell’aver portato a termine il proprio processo di maturazione. Mentre l’autoritarismo impone regole o divieti (per quanto giusti possano essere) suscitando rabbia o inibizione, l’autorevolezza, al contrario, è un modo di educare che irradia autorità. Mettersi in gioco richiede competenza e dunque conoscenza del mondo adolescenziale e delle sue dinamiche. Bisogna saper comprendere quando un comportamento è realmente sinonimo di un profondo disagio interiore o una fisiologica manifestazione dell’instabilità emotiva tipica di questa età. Un altro elemento è la coerenza tra il dire, il fare e l’essere. L’educatore incoerente disorienta, perchè si può essere maestri di vita solo se testimoni di ciò che si propone e gli adolescenti sono degli acuti osservatori cui non sfugge nulla. L’empatia è una grande risorsa di questa valigetta, perchè permette all’educatore di cogliere l’invisibile, la parte più intima e delicata del tu che gli è di fronte. L’atteggiamento empatico scavalca le inevitabili barriere di difesa che gli adolescenti pongono nei confronti del mondo adulto e permette di stabilire quell’intimo contatto che crea connessione e uno scambio autentico. Un adolescente inizia la sua metamorfosi solo se si sente compreso e non giudicato, se avverte un’amorevolezza che a volte richiede fermezza e argini sicuri. Un altro elemento è il senso dell’humour, elemento di grande fascino e in grado di stemperare il clima a volte teso o imbarazzato che si può generare nella relazione educativa. “La risata è la distanza più breve tra due persone“, ha affermato Victor Borge. “Si cresce davvero la prima volta che si ride di se stessi” ha invece dichiarato Ethel Barrymore. L’autoironia permette a chi educa di non prendersi troppo sul serio e di insegnare all’adolescente in crescita che tutti abbiamo dei difetti con cui dover imparare a convivere senza che essi diventino una forma di auto disprezzo o di inferiorità sociale.
Permettere a un adolescente di realizzarsi nella pienezza delle sue potenzialità è il dono più grande che gli si possa fare.
«Freire affermava che l’educazione vera è quella «problematizzante», da intendersi come un’attività dialogica tra due soggetti, in grado di sviluppare uno spazio di negoziazione in cui entrambi possono apprendere e crescere: “In tal modo l’educatore non è solo colui che educa, ma colui che, mentre educa, è educato nel dialogo con l’educando, il quale a sua volta, mentre è educato, anche educa“. Questo tipo di educazione dialogica, oltre a non generare dei muri tra il mondo degli adulti e quello dei minori, facilita il senso della festa pedagogica, dello stare insieme per mettersi reciprocamente in gioco, pur mantenendo, com’è giusto che sia, quella posizione asimmetrica che fa di un adulto una persona matura e dell’educando un soggetto in via di maturazione. Si riesce a educare con efficacia solo se si è, allo stesso tempo, disponibili a imparare dal flusso comunicativo della relazione con il tu, ciò che ci permette di divenire dei genitori, insegnanti o educatori migliori», (tratto dalla pubblicazione “Educare? sì, grazie“, p. 144). Mettersi in gioco è rinnovare l’impegno a dare del proprio meglio, tenendo sempre aperte le finestre della curiosità attraverso cui fa entrare il vento e i profumi della creatività. Educare gli adolescenti è, in parte, ritornare noi stessi adolescenti per avvertire come la linfa vitale che è in noi desidera rivelarsi in tutta la sua pienezza ed essere incanalata verso il futuro nella realizzazione del proprio “vero Sè”. Educare insieme per rimettersi in gioco è la vera sfida dell’educazione che possiamo affrontare e vincere se ci uniamo nella consapevolezza che nessuno si salva da solo. E il viaggio continua… Grazie.
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