Coronavirus: una tragedia annunciata e male affrontata.
Nei nostri ospedali stiamo affrontando la grande battaglia del Covid19 con il coraggio e la professionalità di medici e infermieri che non sono stati messi nelle condizioni di operare con la dovuta strumentazione e le necessarie garanzie per la loro e altrui salute.
Non è in questo modo che si guida un Paese. Perché? Basta analizzare l’ordine cronologico di questa pandemia. La prima data ufficiale in cui inizia la rovinosa storia del coronavirus è il 31 dicembre 2019 in cui le autorità sanitarie locali cinesi danni notizia di casi insoliti di polmonite. Il 9 gennaio le autorità cinesi avevano dichiarato ai media locali che il patogeno responsabile è un nuovo ceppo di coronavirus, mentre l’Organizzazione mondiale della sanità diffondeva la notizia il 10 gennaio. Il 21 gennaio le autorità sanitarie locali e l’OMS annunciavano che il nuovo coronavirus, passato dall’animale all’essere umano, si trasmette anche da uomo a uomo. Nel frattempo Wuhan, primo focolaio dell’epidemia, diventava una città isolata e i festeggiamenti per il capodanno cinese venivano annullati. Quando viene segnalato il primo caso in Italia? Esattamente il 21 febbraio, (paziente uno a Codogno). Immaginiamo di essere avvisati che uno tsunami colpirà il nostro paese e noi abbiamo, a differenza di chi lo subisce all’improvviso, dei giorni per poterlo affrontare. C’è qualcuno che farebbe finta di niente? Certamente no! Eppure, in Italia davanti all’imminente avanzata del coronavirus si è rimasti ad aspettare quando e come ci avrebbe colpito.
Quando il mare sta per trasformarsi in una minacciosa e violenta tempesta è il capitano che deve, con la sua esperienza, mettere l’equipaggio nelle condizioni di affrontarla nel migliore dei modi. Non sono di certo i passeggeri a dover gestire l’emergenza di un qualcosa che non conoscono e per cui non hanno le competenze adeguate. Il nostro premier Conte e i suoi consiglieri, hanno mandato medici e personale sanitario a morire sul campo di battaglia del Covid 19, perché non tutti sufficientemente attrezzati e preparati per tempo a prevenire la diffusione del contagio. E’ sconcertante sapere che ci sono stati (e forse ancora oggi) infermieri/medici che hanno affrontato i primi pazienti contagiati senza le dovute protezioni, che abbiamo ospedali senza respiratori o con un numero di macchinari insufficienti che costringono dei medici a scegliere chi cercare di salvare e chi no. Sono da ammirare coloro che non si sono tirati indietro e che hanno eroicamente cercato, con il loro sacrificio, di mettere un argine allo straripare delle violente onde del coronavirus. Il contagio era inevitabile, proprio come uno tsunami, e avrebbe comunque fatto delle vittime. Nessuno può chiedere ai propri governanti di renderci un popolo immune al Covid19, ma la capacità di prevenirlo con azioni mirate, di gestirlo con la massima efficienza professionale e di saperlo contenere con tutte le più adeguate misure preventive e curative, questo sì.
“Il senso della vita viene prima del senso degli affari. Ma qualcuno ha invertito le priorità”.
Qualcuno potrebbe dire che nessuno poteva immaginare che in Italia potesse svilupparsi un’epidemia di queste proporzioni. Forse è così; ma come dimenticare tutte le notizie e il numero dei contagiati che provenivano dalla Cina? Come dimenticare le immagini di città letteralmente deserte, con tutte le attività economico-produttive del tutto ferme? Silvio Garattini, scienziato e farmacologo italiano, presidente e fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri”, il 27 marzo ha dichiarato: “Bisognava chiudere prima, ora a pagare sono personale sanitario e operai”, per poi aggiungere una verità scomoda ma inesorabilmente giusta: “Il senso della vita viene prima del senso degli affari. Ma qualcuno ha invertito le priorità”. Va benissimo dire che ci siamo trovati davanti a un mostro più grande di noi ma se un generale non fa di tutto per conoscere, per quanto gli è possibile, le mosse del suo nemico con l’obiettivo di anticipare le sue mosse, come può fronteggiarlo a testa alta e riuscire a sconfiggerlo? Qualsiasi persona ragionevole, davanti a un imminente tsunami, si sarebbe dovuta attrezzare per tempo immaginando la peggiore delle ipotesi, perché è in questo modo che si affronta una futura e certa battaglia.
Adesso è il momento di restare uniti, di lavorare al meglio delle nostre possibilità, di cercare le soluzioni più giuste e intelligenti, di sperimentare farmaci e di costruire nuovi reparti, ma arriverà il giorno della resa dei conti in cui coloro che avrebbero dovuto guidarci con saggezza e previdenza in questa immane battaglia, dovranno (se ne sono capaci) assumersi le loro responsabilità. Vi sono famiglie distrutte dal dolore, persone che non hanno nemmeno potuto dire addio ai loro cari, tenergli la mano, essergli di conforto. Come ha affermato una figlia: “E’ stato come veder annegare mio padre e non poter far nulla per salvarlo”. Nessuno è perfetto, nessuno è esente da commettere degli sbagli ma davanti a questa tragedia annunciata del Covid 19 sarebbe doveroso che il premier Conte chiedesse scusa per tutto quello che avrebbe potuto fare e non ha fatto nei giorni precedenti al 21 febbraio, impedendo a chi di dovere la possibilità di essere un esercito di operatori sanitari agguerrito e ben fornito. Ad oggi contiamo 10.950 vittime del coronavirus, tra cui più di cinquanta medici che sono morti sul campo di battaglia, mentre il parlamento (il quartier generale) per giorni è stato un luogo deserto. Ne sono sempre più convinto: non è in questo modo che si guida un Paese!
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