Divenire consapevoli!
La ginnastica della consapevolezza ci consente di prendere in mano le redini della nostra esistenza.
La ginnastica della consapevolezza è ciò che ci permette di sviluppare l’attitudine al comando e di perseguire degli obiettivi di miglioramento personale, secondo il principio di realtà che ci insegna a chiamare le cose per nome, ad accettare il senso del limite e a sviluppare il valore della responsabilità atto a forgiare, con un atteggiamento proattivo, il corso degli eventi. Noi non possiamo determinare molti fatti dell’esistenza, ma possiamo decidere con quale stato d’animo e vigore spirituale affrontare e trasformare ciò che ci capita. Desidero condividere la storia di Giorgia, una donna che ho incontrato e che mi ha permesso di raccontare la sua storia nel libro “Finalmente liberi“.
«Giorgia è una donna di 38 anni che vive da sola ed insegna alle scuole medie. Per ragioni lavorative si è trasferita, lei donna del sud, in una città del freddo nord. Rifiutata dalla madre, con un padre totalmente succube della moglie, è alla disperata ricerca di un calore umano che le manca da troppo tempo. Alla mattina, quando si alza per fare colazione, per tenersi stretto l’unico ricordo di un gesto materno che le riempiva il cuore di tenerezza, ha l’abitudine di prepararsi del pane caldo e soffice, simbolo di una maternità tanto desiderata, quanto negata. Giorgia incontra un uomo senza troppi scrupoli e rimane presto incinta. Lui non ne vuole minimamente sapere di un figlio e la convince, manipolandola nel suo bisogno affettivo, a non portare avanti la gravidanza; lei, per la paura di perderlo, cede. Giorgia si reca in ospedale e quando torna a casa ha il cuore straziato dal dolore di un gesto a cui, la sua debolezza, non ha saputo opporsi. Da quel giorno Giorgia non si dà pace e incomincia a morire, giorno dopo giorno, stretta dal rimorso di coscienza e soffocata dal peso dei sensi di colpa. Alla mattina non riesce più a preparare il pane; la sua maternità negata si rivolge contro di lei e così quella casa rimane senza l’odore del pane caldo. Giorgia ha una straordinaria intelligenza creativa nella sua professione. Quando entra in classe porta con sé una valigetta delle sorprese che rende ogni lezione un’esperienza vivificante; Giorgia sa suonare, nei cuori dei suoi allievi, le note della curiosità e della passione per la sua materia. I suoi studenti la adorano e le sue colleghe la invidiano, isolandola sempre di più. Giorgia non riesce a dimenticare quel figlio tanto desiderato, che la sua paura di perdere un surrogato d’affetto le ha negato; ed è così che i suoi slanci creativi chiudono la valigietta delle sorprese, portando Giorgia a rinchiudersi nell’eremo della sua autocondanna. Al nostro primo incontro una flebile voce parla del suo rendersi invisibile e del suo ghettizzarsi nel quartiere della disperazione. Non potrò mai dimenticare quello sguardo carico di angoscia, in cui rimaneva aperto un piccolo spiraglio di speranza. Credo che ci sia Qualcuno molto più capace di noi nel guidare le nostre parole e nell’incanalare il limitato sapere umano, nella direzione della riconciliazione con se stessi e della guarigione risanatrice ogni male. Giorgia aveva, in quel momento, bisogno di poche parole e di “ritrovarsi” nel perdono che libera il terreno dal recinto dei fili spinati, per imparare a prendersi cura, finalmente, della sua parte bambina. Giorgia aveva bisogno di ritornare a fare quel pane caldo e soffice, a riempire la valigetta della sorpresa per i suoi ragazzi e a comprendere che i limiti di sua madre e di suo padre non dovevano più farla sentire reietta dalle spiagge dell’amore maturo, bensì indirizzarla, con leggerezza, verso di esse. Ed è così che Giorgia ha ripreso a fare il pane caldo e a riempire la sua casa di quella fragranza di una maternità pienamente ritrovata, che fa così bene al cuore. Ora, nei suoi giorni, vi sono fiori sul tavolo, musiche di gioia, dei quadri da dipingere e un immenso desiderio di donarsi ai “suoi ragazzi” con un set di valigie sempre più gonfie di sorprese e di entusiasmo».
E il viaggio continua… Grazie.
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