Come affrontare l’esperienza dell’abbandono significa imparare a superare il trauma della separazione che segna il passaggio verso l’età adulta.
L’abbandono è l’esperienza primaria dell’esistenza e tutti l’abbiamo sperimentato. La perdita dell’oggetto primario (il seno della madre o il suo sostituto) è un’esperienza fondamentale per la strutturazione delle successive relazioni interpersonali e rimane, il più delle volte, nella zona dell’inconscio, in quanto avviene più a livello tonico-emotivo (la memoria del corpo) che cognitivo. La sensazione di essere accolti nel corpo della madre ci permette di interiorizzare i primi «oggetti interni», su cui si costruisce il senso dell’io e della propria vita intrapsichica. Staccarsi dalla madre è indispensabile per crescere e per affrontare le prove delle vita, perché solo nell’esercizio delle proprie risorse interne un bambino può allenarsi, conoscere le proprie abilità, nonché misurarsi con se stesso e con la realtà. Ma se questa esperienza avviene in modo traumatico (mancanza di un sufficiente contenimento psichico) il neonato sarà costretto:
1)- a ritirarsi in se stesso,
2)- ad attaccarsi in modo morboso,
3)- a rifugiarsi in un suo mondo ideativo
4)- o, come soluzione estrema, ad anestetizzarsi.
Come affrontare l’esperienza dell’abbandono è un passaggio di crescita fondamentale, perchè si è soli solo quando si rimane incapaci di generare nuovi legami e di comprendere che una persona rimane dentro di noi, anche quando dobbiamo staccarci da essa, volutamente o forzatamente.
Tutti abbiamo bisogno di sentirci accolti e di poterci addormentare nel dolce, morbido e avvolgente seno della vita. Ma al tempo stesso abbiamo bisogno di sperimentare il senso della propria individualità nascente. Ecco perché l’angoscia di separazione coincide con l’angoscia della morte. Essere separati ci pone davanti al vicolo cieco della propria solitudine esistenziale e al tempo stesso ci invita ad andare oltre la stessa angoscia di morte. Winnicott ci ha spiegato che il bambino sopperisce all’angoscia di separazione costruendo i suoi “oggetti transizionali”. L’oggetto transizionale è un sostituto della figura materna (il ciuccio, il pollice in bocca, la coperta di Linus, ecc.) che genera un effetto calmante e/ confortante. L’oggetto transizionale segna il passaggio dalla dipendenza nei confronti della figura materna (che il bambino vorrebbe avere sempre presente e sotto controllo) all’interiorizzazione della relazione. Il bambino utilizza l’oggetto transizionale per staccarsi dalla madre, per potersi autogratificare e autorassicurare ed infine per avviare il processo di conoscenza nei confronti della realtà esterna. L’oggetto transizionale è considerato un passaggio fondamentale dello sviluppo umano, in quanto raffigura l’inizio della capacità di personalizzare e caricare di significato interiore un oggetto esterno. L’oggetto transizionale è un ponte di costruzione simbolica interna che permette una transizione atta a superare l’angoscia della perdita, e dunque struttura una relazione più matura con il senso di realtà. E’ forse per allontanare l’idea della perdita che ci attacchiamo a persone, cose, lavoro, idee e rituali d’ogni genere? L’abbandono, se non viene compensato dalla presenza di oggetti interni simbolici, è penoso perché ci lascia tra le dune di un deserto che si stende sconfinato, senza il fiato di una speranza, vale a dire inesorabilmente da soli. Come affrontare l’esperienza dell’abbandono è un passaggio di crescita fondamentale, perchè si è soli solo quando si rimane incapaci di generare nuovi legami e di comprendere che una persona rimane dentro di noi, anche quando dobbiamo staccarci da essa, volutamente o forzatamente.