La metafora del respiro: aspirare è fare il vuoto
Dovremmo renderci conto che non è assolutamente possibile puntare verso nuovi desideri e nuove mete nella vita (perché questo è il significato secondario di aspirazione), finché abbiamo la testa e il cuore pieno di preoccupazioni, pensieri, ansie o timori.
«Quale miglior modo di comprendere cosa significhi sviluppare le mie aspirazioni se non riportando questa parola al suo significato più concreto e corporeo, riportandolo al respiro? Quindi, aspiro e sento che l’aria penetra nei miei polmoni, costringendo la pancia a schiacciarsi un po’ più in giù e mi sento pervadere dall’aria. Percepisco come aspirare significhi, prima di tutto, un fare spazio, un lasciare che ciò che c’è si faccia un po’ più in là per far entrare qualcosa di nuovo. E già in questa piccola, semplicissima considerazione trovo molti spunti su cui riflettere: non possiamo aspirare se non ci concediamo il permesso e non ci prendiamo la briga di creare un po’ di vuoto dentro di noi. Dovremmo renderci conto che non è assolutamente possibile puntare verso nuovi desideri e nuove mete nella vita (perché questo è il significato secondario di aspirazione), finché abbiamo la testa e il cuore pieno di preoccupazioni, pensieri, ansie o timori. Spesso dentro di noi non ci sta niente più di quello che già c’è. Quante volte, guardando le nostre agende o facendo il planning della settimana che sta per arrivare, ci diciamo che non abbiamo spazio nemmeno per realizzare quelle cose che ci darebbero piacere o che sappiamo ci farebbero bene ma che, purtroppo, non ce la faremo nemmeno questa settimana a conseguire. Quante volte sentiamo dire: “Eh sì, mi piacerebbe avere il tempo per leggere un libro, fare un corso, visitare quel paese o quella persona, fare sport e così via ma non ho tempo”. Prendiamo consapevolezza di questa evidenza: non siamo noi che abbiamo o non abbiamo tempo, bensì è il tempo ha noi! Siamo inseriti in una corrente temporale che procede dal passato verso il futuro, passando per il presente, al di là di noi: noi possiamo solamente accorgerci di questo, ma certo non possederlo.
In che misura siamo soggetti all’illusione di poter controllare il tempo? Siamo convinti che il nostro modo di controllare il tempo sia necessario e immodificabile?
E cosa si fa quando ci accorgiamo di essere nel vagone di un treno che non abbiamo scelto di prendere, di cui non conosciamo la destinazione e che sappiamo di non poter fermare? Mi vengono in mente due possibili risposte a questa domanda. Una prima possibilità è d’affannarsi, di preoccuparsi o di cercare in tutti i modi di gestire la situazione, magari calmandosi solamente quando ci si è illusoriamente convinti di essere riusciti ad assicurarsi il controllo della situazione. Questo controllo può realizzarsi, ad esempio, sottomettendo gli altri passeggeri e costringendoli a convincersi che, oh sì, siamo noi che stiamo guidando il treno e che sappiamo perfettamente cosa sta accadendo, nonché dove siamo diretti. Una seconda scelta consiste nel sedersi e godersi il viaggio. In fondo cosa cambia? Sia che ci affanniamo, sia che ci facciamo venire l’ansia pensando a tutte le mete che quel treno può avere o sia che ci sediamo tranquilli a guardare fuori dal finestrino intrattenendo amabili conversazioni con i compagni di viaggio, il treno non ferma, non devia e non smette di essere diretto verso la sua ignota ultima destinazione. In che misura siamo soggetti all’illusione di poter controllare il tempo? Siamo convinti che il nostro modo di controllare il tempo sia necessario e immodificabile? Siamo forse persuasi che il modo migliore di controllare il tempo sia riempirlo d’impegni, appuntamenti, doveri e scadenze varie, tutte cose che ci permettono di non pensare che siamo su un treno che non possiamo fermare e sta andando chissà dove? E se all’origine di tutto ciò vi fosse la paura del vuoto esistenziale? “Horror vacui”, chiamavano gli antichi, quella tendenza dell’arte medievale di riempire tutta la superficie di un quadro di elementi figurativi per non lasciare nulla di “non dipinto”. L’horror vacui è ciò che ci spinge a riempirci l’agenda d’impegni, sino a non avere più spazi vuoti in cui lasciar danzare le nostre aspirazioni più profonde. Senza questo spazio vuoto non è proprio possibile respirare, non è immaginabile dare corso all’atto che fisicamente ci tiene in vita, il respiro appunto. Siamo pienamente vivi quando sviluppiamo la capacità di evolvere consapevolmente da una condizione d’indigenza fino a raggiungere le stelle! Ecco che cos’è l’aspirazione, almeno nella sua prima fase: un processo che prima di tutto deve creare uno spazio vuoto per liberarsi dalle illusorie convinzioni rispetto a noi stessi, al mondo e alla vita». (Tratto da Sognate grande! Come allenarsi per affrontare e costruire il futuro, pp. 41-44).
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