«Guarda un filo d’erba al vento e sentiti come lui. Ti passerà anche la rabbia». Tiziano Terzani
«Vivere con rabbia, è produrre veleno», ha affermato Stephen Littleword. In ogni famiglia si generano tempeste di rabbia. Non è bello arrabbiarsi, ma è reale; fa parte della nostra umanità provare risentimenti, rancori e, a volte, il desiderio di vendicarsi. La rabbia è come un fuoco che rischia di bruciare l’albero delle relazioni famigliari; è importante proteggere le nostre famiglie dalla potenza distruttiva della rabbia. Se il fuoco della rabbia non è immediatamente spento o tenuto sotto controllo, può causare una desolante devastazione. Dobbiamo distinguere la rabbia dall’aggressività, che spesso sono confuse in un unico sentimento. «L’aggressività è un’energia, una forza vitale presente nel bambino sin dalla nascita, quindi ancor prima che possa esprimere i suoi impulsi intenzionalmente», ha affermato Winnicott.
Il rispetto è la prima forma d’amore tra gli esseri umani.
L’etimologia della parola proviene dal latino «ad gredi», che significa «andare verso» gli altri e la realtà esterna («ad» sta per «verso, contro, allo scopo di», e «gradior» per «vado, procedo, avanzo,cammino»). L’aggressività è dunque una predisposizione genetica, una forza vitale, di per sé positiva, che promuove la crescita del bambino verso l’autonomia, l’esplorazione e la capacità di stabilire delle relazioni con il mondo esterno. Se l’ambiente educativo si oppone a questa carica vitale, l’aggressività è repressa e, con il tempo, da buon vino si trasforma in aceto, sino a manifestarsi nelle forme dell’aggressività patologica: la “rabbia sadica”. Qual è il miglior antidoto all’insorgere della rabbia malefica? Il senso del rispetto per il “tu”, perché il “rispetto è la prima forma d’amore tra gli esseri umani” che coltiva il terreno dell’intimità affettiva. Se il rispetto viene a mancare, chi muore è la relazione stessa e senza di essa un figlio sviluppa la ferita dei “non amati”, la peggiore di tutte, quella che più avanti nel tempo può trasformarsi in sadismo, cannibalismo psichico e desiderio di infierire, con lucidità mentale, nei confronti del genere umano, provocando morte e distruzione a non finire.
Lo stato di sofferenza che genera la rabbia può essere preso tra le nostre braccia, come un bambino che piange, e curato.
Come può, chi si sente rispettato e amato, divenire pieno di crudeltà nei confronti di altri esseri umani? Come hanno potuto, ad esempio, Hitler e Stalin, infierire così cinicamente, senza pietà alcuna, verso il prossimo? E che cosa dire dei serial killer, capaci di uccidere decine d’innocenti vittime, senza mai fermarsi davanti allo strazio del dolore altrui? C’è molto da riflettere sulla presenza del male sulla terra; non è una questione da ignorare. Una cosa è certa: ogni criminale era un bambino innocente, il giorno in cui è nato. Questo non significa scaricare ogni colpa sull’educazione, poiché sappiamo che stesse situazioni ambientali generano persone diverse, ma è certo che ogni imprinting educativo ha un forte potere nell’orientare verso l’atteggiamento della «biofilia» (amore per la vita) o quello della «necrofilia», (amore per la morte), come ci ha ben spiegato lo psicoanalista Erich Fromm. Quando a un figlio non è concesso il permesso d’esistere, vale a dire di manifestare in pienezza le potenzialità realizzative del suo essere, cresce la velenosa pianta della rabbia. Lo stato di sofferenza che genera la rabbia può essere preso tra le nostre braccia, come un bambino che piange, e curato. Se questo non avviene, la rabbia incomincia a scalciare dentro, per poi dirigersi verso degli oggetti, le persone o se stessi. Quando la rabbia si manifesta, va accolta e riconosciuta. Il solo fatto di respingerla ne aumenta l’intensità.
«Chiunque può arrabbiarsi: questo è facile. Ma arrabbiarsi con la persona giusta, e nel grado giusto, ed al momento giusto, e per lo scopo giusto, e nel modo giusto: questo non è nelle possibilità di chiunque e non è facile», scriveva Aristotele, proponendo un modello di comportamento etico nei confronti della rabbia.
Quando qualcuno ci fa soffrire, la reazione potrebbe essere quello di ripagarlo con la stessa moneta. Questo modo d’agire è un atteggiamento infantile. Lo vediamo nei bambini quando si arrabbiano tra di loro come tendono ad agire in modo vendicativo, provocando in questo modo la crescita esponenziale della sofferenza reciproca. La differenza tra un educatore e un educando dovrebbe essere nella capacità di contenere la propria rabbia, di saperla addomesticare. Se la nostra automobile viene incendiata, è meglio cercare di spegnerla, piuttosto che bruciare quella di chi ha appiccicato il fuoco. Inseguire un piromane non spegne il bosco. Lo so che non è cosa facile gestire la rabbia che deriva dalla sofferenza per le ingiustizie subite. La forza che possiamo sviluppare per resistere alla tentazione della vendetta è la pace che, come una sorgente inesauribile, si trova alla fonte dell’Amore misericordievole. A volte, mi ritrovo a inseguire chi ha appiccato il fuoco alla mia casa, ma quando ritorno non trovo altro che fumanti ceneri. Credo che se fossimo più capaci di entrare nel vulcano della rabbia altrui, potremmo scorgere lo stato di sofferenza che giace, come in catene, nelle sue viscere e comprendere che all’origine della rabbia vi è sempre qualche ferita o dei bisogni rimasti inascoltati. Quando ci sentiamo non rispettati, è come se la mano della persona amata ci schiaffeggiasse. Una madre che al rientro del lavoro trova un figlio sdraiato davanti alla tv, con una tavola da sparecchiare e gli indumenti sparsi ovunque, si sente, giustamente, non rispettata. Un padre che trova i suoi attrezzi di lavoro in disordine, dopo che il figlio li ha utilizzati, si sente non rispettato. Un figlio, se invaso nella sua privacy, si sente non rispettato. Imparare a riconoscere la presenza della sofferenza che la rabbia contiene in sé, è il modo migliore per trasformarla in un’energia positiva e vitale. Se non vogliamo essere devastati dall’incendio della rabbia, dobbiamo ritrovare la pace che scaturisce dall’abbraccio misericordievole verso di noi e verso il prossimo!
Tratto da “Educare? Sì grazie” pp.176 -178 Disponibile anche in Ebook