Come relazionarsi con un figlio o un allievo difficili? E’ sempre “la capacità di entrare in un’intima relazione” la chiave per aprire le casseforti dei soggetti ribelli, chiusi o disadattati.
Quando un bambino o un adolescente assumono comportamenti disfunzionali e “creano dei problemi” all’ambiente famigliare o scolastico, significa che stanno sperimentando una situazione di disagio interiore cui non sanno dare un’adeguata risposta. Un genitore o un insegnante che non sanno decodificare la reale natura del disagio e che si sentono minacciati da questo comportamento o impotenti davanti ad esso, non possono aiutare il soggetto in difficoltà a venirne fuori. In questo modo accade che il comportamento inadeguato dell’adulto vada a cronicizzare una dinamica relazionale conflittuale o inadeguata. Ecco perchè è importante farsi aiutare da persone esperte e competenti, capaci di offrire una visione più olistica della situazione. Come affermava Albert Einstein, “non è possibile risolvere un problema con la stessa mente che lo ha generato”.
Se un soggetto sta vivendo una fase di difficoltà interiore difficilmente potrà porsi in modo maturo all’interno di una relazione educativa. La sua rabbia o il suo mutismo, ad esempio, sono segnali della sua sofferenza ad esprimere ciò che lo tormenta con una modalità trasparente e chiara.
Per poter instaurare una valida relazione educativa occorrono almeno due requisiti. Il primo riguarda l’ascolto attivo, ovvero quel comportamento relazionale che considera l’ascolto come momento privilegiato per facilitare la relazione con l’educando. Ogni persona che viene aiutata ad esprimere e verbalizzare i propri sentimenti e le emozioni sperimenta una condizione di immediato sollievo. Il tenersi tutto dentro facilita un processo involutivo di progressiva chiusura, generando invisibili muri che dividono genitori e figli, insegnanti e alunni. Nella distanza relazionale non può esservi condivisione, lo spazio della liberazione dai demoni interni (rabbie, paure, angosce, ecc.) che tengono prigionieri il cuore e la mente di tanti bambini e adolescenti.
Abbracciare l’interiorità altrui e prenderlo per la mano dell’anima è l’unico modo per tirare fuori un soggetto dall’inferno interiore in cui si trova.
Il secondo requisito riguarda l’ascolto empatico che significa abbassare il volume della propria soggettività, reprimere per qualche istante le nostre attese, le nostre aspettative su quello che l’interlocutore ci dirà. L’atteggiamento empatico mette provvisoriamente da parte i personali prorompenti modelli valutativi e l’insindacabile proprio giudizio, per offrire una maggiore attenzione allo scenario della soggettività altrui. Se un genitore e un insegnante non sanno entrare nell’ottica dell’altro, senza lasciarsi oscurare dalle nuvole dei pregiudizi, difficilmente potranno raggiungerlo dove egli si trova: nella scura caverna del suo dolore o disagio interiore. Sono proprio i bambini e gli adolescenti difficili quelli che hanno maggiore bisogno di incontrare adulti saggi, maturi e capaci di comunicare con loro in modo efficace e creativo.