Perchè è sbagliato compiacersi del proprio male.
Dire stop al vittimismo. L’autocommiserazione è un atteggiamento che ci mette al centro del mondo ma contemporaneamente al di fuori di esso.
Tutti abbiamo subito delle ferite narcisistiche, dei traumi, delle ingiustizie o delle esperienze negative. Se mi rivedo bambino trovo più ombre che luci, eppure è da quelle ombre che ho imparato a mettere in risalto dei paesaggi pieni di stupore e di meravigliosi colori. Quando mi lamentavo avevo chi mi si avvicinava con l’intento di consolarmi ma io non volevo essere consolato, perché altrimenti non avrei più potuto interpretare la parte del ragazzo sfortunato, incompreso e sofferente. Raccontare le proprie disgrazie ci rende più umani e chi ci ascolta è mosso nella sua compassione e nel desiderio di aiutarci. Ma sino a che punto il piangersi addosso è funzionale? Se rivelarsi da una parte ci permette di non tenere soffocato il dolore in noi accumulato dall’altra, se non è elaborato, può divenire un giradischi che ripete per anni la stessa nenia e tutto ciò rende sterile il viaggio della vita. A volte, più o meno inconsciamente, il nostro dolore è il modo per affermare il diritto ad esistere, perchè la sofferenza è un urlo che squarcia il muro dell’indifferenza rendendoci visibili agli occhi altrui. Dire stop al vittimismo, significa smettere di compiacersi della propria sofferenza prendendo consapevolezza che essa è un concime per dare il via al cammino dell’evoluzione personale e spirituale. Mettersi al centro dell’attenzione altrui, significa non porre l’altro al centro della propria attenzione e questo crea deserto attorno a sé aumentando, per certi versi, il senso del non sentirsi amati e compresi dal prossimo. Chi ascolta solo il proprio dolore non potrà mai rendersi conto di quanto esso sia come uno strumento di un’orchestra in cui tanti altri esseri umani sono stati derisi, maltrattati, respinti, traditi e ingannati. Se il dolore diventa l’unico specchio in cui riflettere il senso della propria esistenza, esso non potrà mai trasformarsi in una finestra attraverso cui riscoprire la bellezza dell’armonia e dell’amore che, come vette innevate, ispirano il cammino dell’uomo verso la pace, l’equilibrio e la gioia della contemplazione spirituale. Quando ho scritto Volersi bene ero nel punto più basso della mia esistenza ed è proprio per questo che in ogni parola c’è il senso del dolore ma anche della speranza, perchè la speranza è la certezza che da ogni male può scaturire un grande Bene. Siamo nati per rispondere alla chiamata dell’infinito che è dentro di noi e l’amore per se stessi non è lamentarsi o piangersi addosso ma trasformare quel dolore in empatia verso il prossimo, generosità e solidarietà umana. Sta a noi scegliere se rimanere eterne vittime o artefici di una profonda guarigione che significa dare valore etico alla nostra sofferenza.
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