L’evoluzione personale più completa sa integrare talenti e potenzialità con i propri valori. Un talento da solo non basta: occorre coltivarlo con il senso etico del sacrificio, della disciplina e dell’umiltà.
Barack Obama ha affermato un principio decisivo per spronare gli esseri umani verso l’assunzione delle proprie responsabilità: «È il linguaggio dei valori che le persone usano per mappare il mondo, ciò che le può spronare all’azione e farle uscire dal loro isolamento». Nella Dichiarazione di Indipendenza si legge che «gli uomini sono creati uguali e sono dotati dal loro Creatore di certi inalienabili diritti fra i quali quelli alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità». Secondo Obama, questa dichiarazione dovrebbe essere sempre ricordata e mai data per scontata, perché fondamento «del governo, sostanza del nostro credo comune»; essa, se meditata, rappresenta un modo per «affrontare la vita» e orientarsi in «ogni singolo giorno». In una famosa intervista, Barack Obama dichiara quali sono i valori che, insieme a sua moglie Michelle, vorrebbe trasmettere alle due figlie: 1. Onestà 2. Fiducia in se stessi 3. Rispetto delle altre persone 4. Senso di comprensione 5. Gentilezza 6. Fede.
I valori, quando sono riconosciuti, ci permettono di assumere la direzione della nostra vita e di prendere decisioni pienamente coerenti con la fedeltà a se stessi.
Sono valori che Barack Obama ha interiorizzato grazie all’educazione ricevuta da sua madre e dai nonni materni, poiché il padre era ritornato in Kenya quando lui aveva solo due anni, esattamente nel 1963. Vi è una singolare coincidenza che segna la vita di Barack Obama; nello stesso anno in cui egli è stato lasciato dal padre, il 28 agosto Martin Luther King pronuncia il suo discorso più memorabile nella famosa marcia su Washington, “I have a dream”, in cui proclama il diritto all’uguaglianza e il desiderio di fratellanza tra bianchi e neri. Mi piace ricordare che tutto era iniziato otto anni prima per merito di una donna nera che ebbe il coraggio di dire un fermo “no”.
Il primo dicembre 1955 a Montgomery, in Alabama, Rosa Parks, una signora nera di mezza età, salì su un autobus di linea, seguì l’indicazione “Gente di colore” e prese ubicazione nella quinta fila a sinistra, dietro ai posti riservati ai passeggeri bianchi. L’autobus ben presto si riempì. Il conducente invitò allora a far posto ai “signori bianchi” e tre neri si alzarono. Rosa era stanca, aveva appena terminato una lunga giornata di lavoro, le facevano male i piedi e decise di rimanere seduta. Il conducente la invitò esplicitamente ad alzarsi, ma la donna rifiutò, senza gridare o fare scenate, perché aveva compreso che altrimenti gli avrebbe offerto un pretesto per farla scendere. L’autista si allontanò e ritornò dopo poco accompagnato da due poliziotti, i quali afferrarono la donna e la trascinarono via. L’autobus ripartì e la donna fu condotta al posto di polizia, dove il funzionario di turno compilò il modulo di arresto con l’accusa di violazione delle norme municipali regolanti la disposizione razziale dei posti sugli autoveicoli pubblici. Vi rendete conto che potere ha un valore, se nella Verità, di cambiare uno stato d’ingiustizia?
Un vero valore costruisce una realtà più giusta, umana e positiva. Un falso valore crea illusioni di felicità, ma intossica silenziosamente la vita degli esseri umani, iniettando il veleno della menzogna.
È singolare il fatto che vi siano amare verità e falsità dal dolce gusto. Assaggiando le due pietanze è più facile scegliere la seconda. Quello che conta è comprendere se quello che scegliamo contiene valori nutritivi o disvalori nocivi per la salute psicologica e spirituale. A volte è veramente un’impresa ardua affermare i propri valori. Lo sapeva bene il giudice Paolo Borsellino quando, dopo la morte del suo amico e collega Giovanni Falcone, rilasciò questa intervista:
«Io accetto, ho sempre accettato, più che il rischio, quali sono le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall’inizio che dovevo correre questi pericoli. La sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi in, come viene ritenuto, estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me. E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare dalla sensazione che, o financo, vorrei dire, dalla certezza, che tutto questo può costarci caro».
È meglio tradire i propri valori e condurre una vita tranquilla o rischiare di morire per essi? In fin dei conti, si tratta di scegliere la via della fedeltà a se stessi o del rinnegare chi siamo, giacché i valori sono il nucleo fondante il senso dell’identità personale.
Tratto dalla pubblicazione “Finalmente liberi” pp. 227-229.