Il viaggio del perdono è la capacità di riconciliarsi con se stessi, con il prossimo e con la vita.
Non è facile compiere il viaggio del perdono. Quando siamo feriti è più istintivo provare rabbia che pace. Se siamo invasi dal risentimento è come se della nebbia invadesse gli spazi interiori o del fumo nero entrasse in casa nostra. Per quanto possiamo sentirci offesi e colmi di rancore nebbia e fumo resteranno con noi, impedendoci di vedere chiaro dentro casa e fuori di essa. L’odio è una malattia che fa del male, in primis, a chi lo prova. Il viaggio del perdono è una faticosa salita verso le vette della spiritualità e della trascendenza. Il viaggio del perdono è risalire dal buio fondale dell’oceano in cui ci si trova, inseguendo la flebile luce della speranza. Il viaggio del perdono è un cammino che non ha mai una sosta definitiva, come ci insegna il seguente passo del Vangelo di Matteo.
«Pietro gli si avvicinò e gli disse: “Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?”. E Gesù gli rispose: “Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette”. A proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: “Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: “Paga quel che devi!”. Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito”. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello». Matteo 18, 21-35
Il perdono non ha una misura numerica, perchè è nella misericordia che si coltiva l’attitudine al perdono e dunque nella predisposizione a non giudicare ma ad accogliere la fragilità altrui, anche quando essa ci colpisce in prima persona. Il viaggio del perdono richiede la capacità di superare le paludi dell’orgoglio che, come sabbie mobili, impediscono di “andare oltre” il bruciore dell’ego ferito. Rimanere nelle sabbie mobili è un lento affondare tra le crepe di un cuore ferito che ha perso le sue ali per volare oltre la nebbia e aprire le sue finestre per far uscire il fumo tossico. A volte, la parte più difficile del perdono è riconciliarsi con noi stessi, accettare di essere state persone crudeli, indifferenti o egoiste. Saper perdonare se stessi è un atto d’umiltà. Riconoscere i propri sbagli è il primo passo per poter, in base alle circostanze, rimediare ad essi.
Per chi lo desidera, potete approfondire questa tematica andando ad ascoltare o riascoltare la 163 puntata della rubrica “VOLERSI BENE” (in onda ogni domenica sera) dal titolo “Il valore del perdono“, trasmessa dai microfoni di una piccola radio dal cuore grande: “Radio Evolution“.
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