«A volte immagino che il mio intimo sia come un posto irto di aghi e di spilli. Come accogliere qualcuno se non vi può riposare pienamente? Un cuore agitato di preoccupazioni, rabbia e gelosie, causa delle ferite a chi vi entra. Devo creare in me una zona libera per poter invitare gli altri ad entrare e guarire… Ciò significa un’interiorità dolce, un cuore di carne e non un cuore di pietra, uno spazio dove si può camminare a piedi nudi». Henri Nouwen
Più gli anni trascorrono e più le parole di Nouwen assumono, per la mia esistenza, significato e valore. È strano come la stessa lettura a distanza di tempo prenda nuove forme e sappia sprigionare inattese fragranze di saggezza. Per molti anni l’educazione si è rivolta a studiare il mondo dei bambini, la relazione madre-figlio, le dinamiche relazionali all’interno della famiglia, dimenticando che prima di ogni ruolo o dimensione relazionale c’è una persona che dà anima a tutto ciò. Siamo tutti in corsa verso il vento del tremila e stiamo perdendo di vista uno degli aspetti fondamentali dell’esistenza, su cui si costruisce la bellezza dell’atto educativo: l’accoglienza. Sembra che oggi non si sappia più comprendere quanto valore assume ogni granellino di tempo che si deposita nella clessidra di un incontro sincero, spontaneo, aperto e trasparente. I bambini, al contrario, “sentono” quanto spazio d’accoglienza vi è negli adulti che incrociano ai semafori della loro vita. Vi sono adulti dal cuore largo, dai sorrisi generosi di disponibilità, capaci di sgomberarsi dai pesi delle preoccupazioni quotidiane quando stanno con i bambini. Vi sono adulti nervosi, respingenti o colmi d’ansia, che generano tensione o un senso di oppressione. Vi sono adulti calmi come il mare che abbraccia le nuvole di un tramonto e ve ne sono altri che vivono nel maremoto delle tempeste interiori. Ogni bambino è come una fragile barchetta che può essere dolcemente trasportata verso i lidi della fiducia e della speranza o violentemente sbattuta sugli scogli della disperanza e dell’angoscia esistenziale.
L’immaturità psicologica di un adulto ferito è «un posto irto di aghi e di spilli».
Molti anni fa vidi per strada un padre maltrattare un bambino di circa sei-sette anni; lo strattonava e insultava con una violenza carica dell’odio che egli nutriva per la vita. Mi sentii inabile e provai un profondo malessere unito a un terribile senso d’impotenza, ma non dissi né feci nulla. Prima che sparissero, quel bambino per un attimo si girò e mi guardò negli occhi: ne lessi il terrore e la richiesta di aiuto. Quel giorno non fui un buon padre, ma non ho mai più dimenticato lo sguardo di quel bambino. L’immaturità psicologica di un adulto ferito è «un posto irto di aghi e di spilli». Ogni adulto dovrebbe essere, per un bambino, la saggia persona che lo difende e lo protegge dalla presenza del male. Nessun bambino andrebbe maltrattato, rifiutato o calpestato come un tenero germoglio che viene sommerso dalla pece nera altrui. I bambini sono il dono più grande che Dio, ogni giorno, offre all’umanità. Essi sono il segno di un amore infinito, di una semplicità pura, di un mistero immenso e di un’innocenza candida come la neve fresca. Ancora oggi incontro bambini dagli sguardi tristi, in cui si sente l’assenza di un incontro nel cuore dell’intimità psicoaffettiva. Sono bambini che non hanno mai incontrato dei genitori veri, ma che sono stati accolti da genitori finti, malati di egocentrismo, di ambizioni sfrenate, di vuoti affettivi e dunque incapaci di sentire i bisogni reali dei propri figli. Oggi so che non è giusto stare zitti davanti a questo dolore innocente e che il modo migliore per aiutare questi bambini è di accogliere i loro genitori in uno sguardo che non giudica, ma che pone davanti a loro, con dolce fermezza, il faro della verità. Non serve colpevolizzare, occorre insegnare l’arte della responsabilità individuale. Oggi possiamo imparare quello che ieri non ci è stato insegnato; oggi possiamo sperimentare il senso dell’intimità, del dialogo profondo, dell’incontro autentico, dello stare insieme nel rispetto reciproco. Oggi possiamo tornare a crescere, e a “volerci bene” per davvero
Chi non accoglie tende a giudicare: è questa la principale fonte di separazione tra gli esseri umani. La non accoglienza è espellere dal grembo della relazione intima un educando.
È così bello poter riposare nell’abbraccio benedicente di chi porta la leggerezza della pace in sé. Un figlio, se non trova uno spazio in cui lasciarsi andare e in cui sentirsi amato, rincuorato, sostenuto e protetto, difficilmente potrà crescere in modo libero, vigoroso e autentico. Non è forse vero che siamo stati contenuti nel grembo di una madre prima di nascere? È come se la natura ci volesse insegnare il valore che ha il tempo dell’attesa nella dolce culla dell’intimità profonda. Aghi e spilli non ci permettono di riposare e dunque di sostare nella dimensione dell’essere amati e cullati dalle braccia della vita. Per divenire creature pienamente umane abbiamo bisogno di sentirci accolti per come siamo, nella fragilità e nell’imperfezione della nostra natura, nello splendore dei talenti e nell’anelito all’infinito verso cui tende la parte spirituale. Chi non accoglie tende a giudicare: è questa la principale fonte di separazione tra gli esseri umani. La non accoglienza è espellere dal grembo della relazione intima un educando. I neonati oggi sono messi nelle termoculle per far sì che possano sperimentare il calore del grembo materno. In questo modo si rilassano e dormono meglio. Un neonato che viene gettato nel freddo dell’indifferenza affettiva subirà una trauma che lo segnerà, a volte con conseguenza gravemente patologiche, per il resto dei suoi giorni. Vi sono infiniti modi per accogliere: gesti, comportamenti, sguardi, parole, silenzi e preghiere del cuore. Non serve spiegare l’accoglienza, poiché quando si manifesta si sente dentro e questo i bambini lo sanno molto bene: non c’è bisogno di parole per spiegare loro cosa sentono in fondo al cuore. È forse per questo che Gesù ha detto: «Lasciate che i bambini vengano a me». Egli sa di quanto amore e protezione essi hanno bisogno per divenire uomini e donne immensamente liberi!
.Tratto da Educare? Sì, grazie! pp. 148–150
There are 3 comments on this post
Caro Pietro,
Grazie.
Vorrei farti una domanda, da dove si attinge la forza per star di fronte ad un genitore con uno sguardo che non giudica? Quello che scrivi è forte.
Amo stare con bambini ed adulti e non sopporto quando i secondi prevaricano sui primi. In quei momenti il giudizio prende il sopravvento…come fare per mantenersi integri e trasmettere un messaggio? Grazie ancora.
Un adulto che maltratta un bambino è, il più delle volte, un bambino che a sua volta non è stato rispettato.Non giudicare non significa approvare i comportamenti sbagliati ma porsi davanti alla persona che li compie con una prospettiva educativa e dunque di correzione degli stessi. Se vi è questa consapevolezza diventa più facile non lasciarsi prendere dalla rabbia e divenire dei ponti di mediazione tra “quell’adulto” e “quel bambino”. Grazie.
In una sala gremita di educatori ed insegnanti , il prof. Lombardo ha messo in luce quelle che possono essere definite delle linee guida pisco educative che rifacendosi all’Arte nelle sue molteplici forme, possano essere adottate nell’esercizio dell’insegnamento scolastico motivando al contempo i ragazzi allo studio.