La peggiore schiavitù è dentro di noi.
Vi sono tante forme di schiavitù ma la più subdola è quella che abita dentro di noi
È possibile rimanere prigionieri di se stessi? Certamente sì. È importante comprendere che dentro di noi si forma un mondo intrapsichico sin dai primi giorni della nascita. La relazione con la madre rappresenta l’inizio di questa graduale costruzione. Successivamente, tutte le figure di riferimento affettivo più significative aggiungono elementi alla formazione del mondo intrapsichico. Se attraverso la relazione con queste figure percepiamo la positività dell’esistenza e il permesso ad esprimere in modo spontaneo la nostra natura, introiettiamo dei messaggi positivi che ci proiettano verso l’autorealizzazione. Se, al contrario, siamo segnati da esperienze di rifiuto, di maltrattamento, di abbandono o di freddezza affettiva, la tendenza a rivelare la ricchezza del nostro potenziale umano si blocca. Una ferita può divenire una trappola mortale in cui si rimane prigionieri per tutta la vita o una feritoia attraverso cui la luce della nostra anima si dona al prossimo, perchè la sofferenza, quando è trasformata, ci rende migliori, più umani ed empatici verso il prossimo. Si rimane prigionieri quando non si ha l’umiltà di chiedere aiuto o quando, pur chiedendolo, non si ha la profonda volontà di guarire accampando scuse di ogni genere, autocompatendosi per gli abusi o i maltrattamenti subiti. Il rischio maggiore è di pensare soltanto al proprio dolore, eliminando quello altrui. La verità è che tutti soffriamo su questa terra. Non c’è un essere umano che può raccontare una storia di solo amore, accoglienza, accettazione, comprensione, sostegno, incoraggiamento, tenerezza, sincerità e incoraggiamento. Quando si è prigionieri di se stessi tutto ciò che conta è ricevere attenzioni su di sé. Tale condizione porta a perdere di vista la presenza dell’altra persona: i suoi bisogni, i suoi desideri, i suoi sentimenti. È talmente grave questa condizione che un genitore può perdere di vista un figlio, un coniuge il proprio partner, una sorella un proprio fratello. Quando si è prigionieri di se stessi si diventa inevitabilmente egoisti, nel senso che tutto il mondo gira intorno alle tiranniche esigenze del proprio ego ferito. E’ da questa condizione che nascono le principali forme di dipendenza umana.
La libertà è una conquista che passa attraverso la verità e l’amore.
Rimanere prigionieri di se stessi significa perdere una delle principali funzioni dell’esistenza umana: l’empatia. Una persona egocentrica, al contrario di quella empatica, parla sempre di sé, dei suoi pensieri, senza alcun interesse reale per il mondo interiore dell’altro. Quando è sola, dice di sentirsi abbandonata provando forti stati d’ansia, ma quando è con gli altri non lo è mai per davvero, per il semplice motivo che non sa decentrarsi dal proprio ego. Ed è proprio per questo che una persona prigioniera di se stessa non sa ascoltare i messaggi di crescita che le vengono proposti da chi desidera aiutarla ad uscire dalla sua condizione di sofferenza. A volte, chi soffre d’egocentrismo, alterna momenti caldi a momenti freddi. Vi sono giorni in cui si rivolge ad una persona come se fosse il suo migliore amico e altri in cui lo tratta male accusandolo di cattiveria o falsità. Rimanere autocentrati significa vivere in un costante stato di sofferenza emotiva, di solitudine e di autodistruttività (atti lesionistici), con un comportamento altamente incoerente. È evidente che non si arriva a tale condizione senza che vi sia una storia di crescita infantile/adolescenziale segnata da stati di sofferenza, ma è anche vero che un passato doloroso non ha l’ultima parola sulla libertà di scelta di un individuo adulto di prendere in mano le redini della sua esistenza. Noi non siamo nati per essere prigionieri ma per divenire uomini e donne liberi dentro e fuori di noi. La libertà è una conquista che passa attraverso la verità e l’amore. E sta a noi decidere di intraprendere questo cammino.
P.S. Domenica 10 giugno 2018 nell’evento annuale del Centro Studi Evolution dal titolo “Intelligenza emotiva“, tratterò il tema dell’atteggiamento empatico.
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