Tra il tutto e il niente c’è sempre una via di mezzo… Bisogna imparare a scegliere ciò che ci fa crescere e ci fa stare bene.
Avevo 21 anni quando sperimentai lo stato della fissazione affettiva. Durante un corso di sviluppo personale l’istruttrice mi colpì dentro il cuore per l’energia vitale e per la fiducia che sapeva trasmettere. Finalmente avevo trovato qualcuno che aveva il dono di parlare una lingua universale, che tutti possono comprendere: la lingua dell’amore per il dono della vita che assomiglia ad un arcobaleno di colori scintillanti su cui sedersi sopra e tenendosi per mano dondolare al ritmo dell’intimità. Chiuso nel mio bunker ero davvero esausto di trincee, di fili spinati, di controlli radar a 360 gradi: il desiderio del mio «vero Sé» di uscire allo scoperto era davvero forte. Nell’incontrare quella persona avvertì la netta sensazione che di lei potevo fidarmi; “sentivo” che lei avrebbe potuto vedere con chiarezza nell’agitato fondo della mia interiorità, dove un turbinio di creatività confusa e di aspirazioni timide bussavano forte alla soglia della mia giovinezza. Sentivo che lei poteva “comprendermi” in profondità, nella caverna oscura del mio essere, dove mai nessuno si era calato sino a quel momento. Fu così che decisi di avvicinarmi a questa persona, di varcare le soglie della mia consolidata diffidenza e di aprire la “mia porta” per invitare qualcuno a mettere ordine nel mio disordine. E, come sempre capita quando la sensazione è collegata alla parte sana di sé, alla propria pancia, non mi sbagliai: la lampada della saggezza di questa persona mi fece comprendere con quali “mosse” avrei potuto, io stesso, incominciare a mettere le cose al posto giusto. Il vero maestro, l’onesta guida dei viaggi interiori, ci conduce alle soglie della nostra coscienza e apre le finestre della nostra mente, ma non osa mai andare oltre, perché altrimenti sa che produrrebbe un rapporto di dipendenza, dove qualcun altro, anche se a fin di bene, si sostituirebbe al personale impegno del divenire protagonisti della propria evoluzione e realizzazione del progetto felicità.
Le nostre ferite non dorrebbero mai farci diventare la persona che non siamo!
La mia condizione di quel tempo mi spinse ad aggrapparmi a questa scialuppa di salvataggio, poiché il sentirmi per la prima volta realmente compreso (e dunque “visibile“) era una sensazione troppo forte e carica di euforia per poterci rinunciare. Iniziai così a stare alle costole di questa persona e a marcarla stretta, provando un senso di crescente gelosia per tutte le attenzioni che dedicava agli altri. Reclamavo, con crescente prepotenza affettiva, del tempo privato per essere ascoltato e pur ricevendo di frequente ascolto alle mie richieste, più lei si mostrava disponibile e più aumentava la mia insaziabile e vorace fame d’attenzioni. Poi un giorno, durante la partecipazione ad un corso, per ragioni di tempo non potè dedicarmi tutto l’ascolto che io così fortemente reclamavo e mi sentì tanto ferito, respinto, non amato, arrivando a provare molta rabbia nei suoi confronti. Lei lo capì, non perché glielo dissi, ma perché sapeva leggere tra le partiture dell’animo umano e con la calma di un albero ben radicato mi disse: “Guardati attorno, ci sono 100 persone in questa sala, ognuna con le sue richieste e i suoi bisogni. Non sentirti arrabbiato se oggi non ho potuto ascoltarti come avresti voluto e pensa che il tempo che non ti ho dedicato ha permesso ad altre persone di compiere un piccolo passo verso se stesse”. Le sue sagge parole, al posto di tranquillizzarmi e rassicurarmi, mi ferirono ancora di più e per molto tempo continuai a sentirmi fortemente irritato. Solo dopo molto tempo, in un giorno di sole, oltre la nebbia della mia nevrosi, arrivai a comprendere ciò che il mio bisogno tiranno mi aveva, a suo tempo, impedito di cogliere: anche lei era un essere umano con i suoi limiti e non era un suo compito, né un suo dovere il fatto di portare acqua nel secco torrente dei miei bisogni affettivi.
Quando non ci siamo mai sentiti veramente amati e qualcuno ci dona dei raggi d’amore si risveglia in noi, spesso in modo prepotente, la fame d’amore sino a quel momento rimasta denutrita che scatena una voracità capace di renderci ciechi e follemente possessivi.
Come sempre accade quando si è nel deserto avevo avuto un miraggio, scambiando il suo sincero ed amorevole incitamento a prendere in mano le redini della mia vita, con il mio inconscio desiderio di trovare una madre-terapeuta, una sorta di balia adottiva. La consapevolezza con cui svolgeva la sua professione le aveva insegnato a mantenere quella “giusta distanza” che le permetteva di rimanere centrata su di sé e sullo scopo della sua vita: rendere le persone libere dalla trappola dell’eterodipendenza. Inoltre, così facendo costringeva le persone di “buona ed onesta volontà” a darsi una bella svegliata ed a suonare l’adunata delle forze interiori per incominciare la magnifica marcia del riscatto personale. Dentro di noi esiste un sano, forte, coraggioso e fedele esercito che ha tanta voglia di combattere e che aspetta di essere adunato dallo squillo di tromba del nostro “capitano interiore”. Questo esercito, composto da diverse divisioni, è in grado di affrontare qualsiasi evento ed emergenza. Dentro di noi esiste un vento gagliardo, un’armatura resistente a qualsiasi urto, una cascata d’energia vitale e una solida roccia dell’essere, in cui è ben piantata la bandiera del sano orgoglio, capace di farci sentire umilmente fieri di noi stessi e in cui sventola il vessillo della propria dignità. Dentro di noi esiste la voglia di vivere, di lasciare un graffito di bene, di costruire un villaggio ricco d’umanità, di lasciare un verso di poesia e andare ad abitare nella terra dei sogni. Dentro di noi vi sono maree di emozioni che muovono il mare della psiche verso spiagge di nuove scoperte, con il faro della consapevolezza che illumina i confini del tempo per cogliere i bordi dell’eternità. Dentro di noi vi sono spazi d’infinita creatività e una moltitudine di risorse in attesa di essere risvegliate ed attivate. Il fenomeno della fissazione affettiva tende a bloccare le funzioni del capitano interiore, in quanto egli è ostaggio del suo mancato addestramento all’indipendenza e prigioniero delle conferme affettive a lui negate. Questo ci fa comprendere la natura “malata” di tante relazioni e il rischio a cui si va incontro, quando non si tiene conto di questa realtà.
La fissazione affettiva
Quando instauriamo una relazione affettiva entrano in gioco, il più delle volte a livello inconscio, tutte le ombre e le luci delle esperienze passate. Questo gioco di luci e di ombre anima il teatro delle nostre dinamiche relazionali. Le luci sono rappresentate dalla parte sana della nostra affettività; le ombre sono la parte ferita del nostro stato bambino. Luci ed ombre svolgono entrambe una funzione positiva se orientate verso la «tendenza attualizzante» (C. Rogers), cioè la linea del divenire fedeli a se stessi e alla propria identità vocazionale. Tramite le luci si evidenziano le potenzialità affettive da mettere in azione per costruire una equilibrata e sana relazione; tramite le ombre si coglie il senso della propria vulnerabilità e delle carenze ricevute: la notte dell’immaturità delinea l’alba della maturità affettiva verso cui incamminarsi. Non c’è nulla di sbagliato nell’essere affettivamente portatori di qualche insufficienza affettiva. Carenze, traumi o mistificazioni fanno parte del processo di apprendimento: non tutti i compiti in classe terminano con un otto! A volte si prende a stento la sufficienza e in certi casi si può arrivare ad un voto non classificabile. Ciò che conta è di mettere al servizio della propria crescita sia l’esperienza dal contenuto positivo, sia quello negativo, per farne tesoro di saggezza e di orientamento verso l’attuazione del “miglior se stesso possibile”. Non è mai troppo tardi per imparare ad amare in modo saggio, maturo ed equilibrato. Grazie.