In quale solitudine ci troviamo?
La solitudine non dovrebbe mai diventare un carcere a vita, una condanna d’esilio nell’isola di chi non c’è.
La solitudine è la condizione esistenziale con cui ogni essere umano deve confrontarsi. Sino a quando si può rimanere soli senza cadere nella voragine di un’angoscia senza fine? E quando l’incapacità di stare da soli diventa una fuga da se stessi e una forma di eterodipendenza? Il rapporto con la solitudine inizia nell’infanzia quando una madre si china su di noi e ci abbraccia nel suo sentirsi una donna colma di gioia e d’amore per il dono della vita. Una madre che non danza nella musica del tempo, difficilmente insegnerà a un figlio ad avvertire che il suo cuoricino fa parte di un cuore più grande: quello dell’umanità. Abbiamo tutti bisogno di qualcuno che ci faccia sentire parte di una storia più grande del nostro piccolo ego, che ci insegni a cogliere la presenza di un’orchestra che aspetta le note del nostro essere unici al mondo per vivere nella comunione di un brivido infinito. A cosa serve un corpo che non si congiunge con le emozioni altrui, che rimane prigioniero di solitarie gratificazioni e che non sa vibrare nel calore di un abbraccio dove le parole sono sussurri dolci e lievi come fiocchi di neve? La solitudine non dovrebbe mai diventare un carcere a vita, una condanna d’esilio nell’isola di chi non c’è. E quante solitudini si nascondono nei luoghi dell’ebrezza, dell’effimero stordimento, dell’illusoria amicizia che nasconde il vuoto a perdere di un’esistenza priva d’autenticità. Eppure, è proprio nella solitudine scura come la pece che si consumano i drammi più atroci in cui tutto diventa troppo difficile da sopportare e l’unica via d’uscita possibile appare chiudere le tende del sipario. Non c’è peggior solitudine che sentirsi incompresi nello scorrere delle vite accanto, che neanche si rendono conto di come si sta male dentro. Eppure a volte basta così poco per uscire da questo tunnel: una parola di conforto, un sorriso, una carezza all’anima o un gesto di vicinanza. La solitudine che ci fa crescere è quella che si sceglie di vivere nella consapevolezza che non è lo stare soli il vero dramma dell’esistenza ma nel non sentire la presenza di qualcuno che si siede accanto al nostro dolore o stato d’animo interiore. Quando la solitudine è il sentiero che ci porta a noi stessi e al desiderio di condividere la ricchezza del proprio essere, diventa l’attraversare un deserto che ci conduce oltre la prigionia di un ego malato e solitario. A volte la solitudine viene nascosta da un sorriso di velata tristezza e malinconia che pochi sanno cogliere. Mettersi a cenare con la propria solitudine non è facile ma è anche l’opportunità di conoscerla meglio e affrontarla. Forse uno dei compiti più difficili dell’esistenza è guarire dall’ancestrale solitudine che uccide abbracci e cuori nel gelo di un inverno senza fine. Tutto diventa più leggero nella condivisione e nella comprensione calda e amorevole. Ed è proprio per questo che tutti aneliamo ad incontrare anime belle con cui commuoversi davanti allo stupore di un cielo stellato e potersi sentire uniti sino ai confini del tempo dove si trova l’eternità. E il viaggio continua…
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